Giuditta e il monsù recensione
Sul finire del XIX secolo, nel signorile palazzo Chiaramonte, un bambino in fasce viene abbandonato davanti l’ingresso. Romualdo, il marchese proprietario della casa, la stessa notte aspetta la nascita del suo quarto figlio. La moglie, Ottavia, darà alla luce l’ennesima femmina. Da uomo del suo tempo Romualdo attende invano la nascita di un maschio e forse per questo decide di non abbandonare il neonato che qualcuno ha lasciato fuori dal suo palazzo, stabilendo di darlo alle cure del suo monsù e della sua consorte, una coppia senza figli che lo crescerà come se fosse loro. Gli anni passano e le figlie del marchese crescono, istruite come il loro rango impone. Raggiunta la giusta età c’è chi va in sposa e chi decide di votarsi al signore, non senza il rimprovero del padre. La figlia più piccola, Giuditta, invece, ama poco lo studio e si diverte a passare le sue giornate nelle cucine, dove il monsù, ovvero il cuoco di famiglia, cucina piatti prelibati e tramanda il mestiere al figlio, Fortunato. Tra i due giovani nascerà l’amore, contrastato dal marchese Romualdo. L’epilogo porterà risvolti non aspettati ….
Dopo l’amore un uomo è vinto, mentre una donna diventa invincibile […] ti memorizzo amore mio per tutte le volte che saremo lontani. Che intenzioni hai? […] Griderò la verità […] Portami con te ovunque.
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