La guerra romana contro Giugurta e la guerra contro Mitridate
Scipione Emiliano ha regolato le questioni africane, dopo la terza guerra punica, tramite rapporti di buon vicinato con i figli di Massinissa, re di Numidia, alleato di Roma. Questa politica romana ha attirato in Africa commercianti e uomini d’affari: i negotiatores romani e italici.
Morto il re di Numidia, Giugurta (nipote illegittimo di Massinissa) fa trucidare i rivali e anche i negotiatores. Roma si vede costretta a scendere in guerra nel 112 a. C. La guerra è condotta prima da Cecilio Metello assistito da Gaio Mario (eletto console nel 107 a. C. ) e poi da Gaio Mario assistito da Silla. La guerra si conclude nel 105 a. C. quando grazie al tradimento del re Bocco di Mauretania, suocero di Giugurta, Roma vince. Bocco consegna Giugurta ai romani (verrà giustiziato) e la Numidia viene divisa: la parte orientale assegnata a un nipote di Massinissa, fedele a Roma; la parte occidentale a Bocco e ai romani vanno alcune città della Tripolitana.
In Asia minore l’avversario più temibile era Mitridate VI, re del Ponto, che dopo essersi impadronito della provincia d’Asia aveva massacrato gli italici che vi risiedono. Tra l’88 e il 66 a. C. si susseguono una serie di battaglie, condotte da Pompeo, che culminano col suicidio di Mitridate. Ponto viene incorporata alla Bitinia e trasformata in provincia romana. Due anni dopo anche la Siria diventa provincia romana.
Il saccheggio dei paesi conquistati e vinti hanno portato un notevole afflusso di oro a Roma ( si pensi che Pompeo riporta dall’Oriente qualcosa come 70 milioni di euro) che determina: afflusso di capitali, afflusso di schiavi, evoluzione dell’economia di scambio, lo sviluppo della schiavitù (che porta allo sviluppo dell’allevamento) e cambiamenti nella condotta bellica. L’allontanamento dai teatri di guerra ha fatto si che i campi vengono abbandonati dai contadini-soldati, ma allo stesso tempo è necessario garantire all’esercito il necessario per sopravvivere. I piccoli contadini sono costretti a vendere i loro terreni o a cambiare le pratiche colturali, diversificando le produzioni e piantando viti e olivi anziché grano, ma con pesanti costi perché importarlo dalla Sicilia costava meno.