Le riforme dei Gracchi
Le riforme dei Gracchi iniziano in un periodo di grave crisi politica romana, poiché in quegli anni è dibattuta la delicata questione agraria (esposta da Appiano nel De Bellum Civile). La forte espansione di Roma, dovuta alle vittorie in guerra, aveva accresciuto l’ager publicus, ovvero la terra pubblica patrimonio del popolo romano. L’agro pubblico può essere donato a titolo gratuito a un cittadino che ha compiuto un particolare servizio allo Stato oppure a un romano previo pagamento di un canone. Chi paga il canone non ha il pieno possesso della terra, la quale resta sempre del popolo romano, può solo trarne godimento. Ne consegue che chi aveva i soldi per pagare poteva richiedere e sfruttare le terre.
Col passare del tempo il pagamento del canone cadde in disuso e il possesso abusivo divenne la norma: i possessores tendevano a considerarsi proprietari effettivi. Le conseguenze sono danni alle piccole proprietà terriere e costituzione di grandi proprietà di terreni usurpati allo Stato. Da una parte ci sono i contadini che reclamano un pezzo di terra, dall’altra proprietari che possiedono terre non loro e sono restii a restituirle. Necessitavano leggi per regolamentare la situazione, ma i vari tentativi erano falliti di fronte alla resistenza dei nobili.
Tiberio e Caio Gracco tentarono di emanare una giusta riforma. Sono i figli di Cornelia (figlia di Scipione l’Africano) e di Sempronio Tiberio Gracco, pretore della Spagna Citeriore nel 170 a. C.
L’unico modo per cercare di modificare la situazione sociale romana è di intervenire sul modo di utilizzazione dell’ager publicus.
Tiberio Gracco propose un disegno di legge agraria che riduceva l’occupazione dell’agro pubblico affidato ai privati e assegnava un premio alla natalità. Lo Stato recuperava le quote rimanenti e mediante una commissione agraria composta dallo stesso Tiberio, dal fratello Gaio e dal suocere Appio Claudio Pulcro redistribuiva ai poveri i lotti inalienabili.
Spieghiamo meglio la riforma agraria di Tiberio Gracco:
Nel 133 a. C. Tiberio viene eletto tribuno della plebe e propone una riforma (ovviamente partorita insieme ad altri) stabilendo di fissare in 50 iugeri la terra pubblica che poteva restare nelle mani di un privato ( fino a quel momento fissata in 500 iugeri, circa 125 ettari). Si poteva arrivare a un massimo di 1000 iugeri qualora si avesse più di un figlio. La restituzione allo Stato della parte eccedente sarebbe servita a ridistribuire le aree recuperate ai cittadini poveri. La legge non sfavoriva totalmente i proprietari più ricchi, perché prevedeva che gli espropriati avessero in piena proprietà, e non in concessione, le terre rimaste loro dopo la decurtazione; i beneficiari del provvedimento avrebbero a loro volta usufruito della proprietà delle loro parcelle in modo netto e inalienabile.
I senatori, grandi latifondisti, iniziarono una forte opposizione che denigrava l’operato di Tiberio proponendolo come uomo avido di potere desideroso di divenir tiranno.
Presentata all’assemblea della plebe la riforma si scontra con l’intercessione del tribuno Marco Ottavio (accordatosi coi senatori) che chiede il diritto tribunizio di veto non permettendo l’approvazione della legge. Tiberio propone di abrogare i poteri del tribuno, violando la costituzione romana, ottenendo la destituzione di Marco Ottavio e l’approvazione della legge che fu chiamata Lex Sempronia.
Un’altra mossa anticostituzionale di Tiberio fu quella di proporsi come tribuno nel 132 a. C., un anno dopo la sua carica. Ciò gli valse l’accusa di voler istaurare un regime tirannico e la morte: nel corso di una sommossa venne assassinato insieme a 300 seguaci e i loro corpi gettati nel Tevere.
Nel 123 a. C. viene eletto tribuno della plebe Caio Gracco, fratello di Tiberio. Egli si fece portavoce della ridistribuzione di terre pubbliche agli alleati degli italici, detti socii. Nel 133 a.C. era morto Attalo III, ultimo re di Pergamo, che aveva lasciato ai romani il proprio regno, poco dopo organizzato nella provincia d’Asia.
Caio sfruttò l’occasione per finanziare la Lex frumentaria: la vendita di frumento a basso prezzo alla plebe urbana. Così facendo si garantiva il voto dei proletari di Roma, categoria fino a quel momento manipolata dalla classe senatoria attraverso rapporti di clientela. Ai cavalieri concesse la possibilità di riscuotere le imposte della provincia d’Asia. Infine, concesse la cittadinanza romana a tutti quelli che possedevano la cittadinanza latina e concesse quella latina a tutti gli italici, così da impedire l’alleanza di quest’ultimi con l’oligarchia senatoria contro la sua proposta agraria che aveva tra i propositi quello di colonizzare il territorio di Cartagine.
Nel 121 a.C. Caio Gracco non riottenne il titolo di tribuno della plebe durante l’elezione (sarebbe stato il terzo, il secondo lo ebbe nel 122). Privo di protezione fugge e preferisce farsi uccidere da un servo che cadere nelle mani dell’opposizione. Ne consegue che la riforma agraria dei Gracchi è in parte distrutta:
- I beneficiari sono autorizzati a vendere i loro lotti, non più inalienabili
- Il popolo percepisce nuove tasse sul demanio
Secondo alcuni storici però la Lex agraria ha contribuito a ricostruire piccole aziende agricole.
Optimates e Populares
Con gli avvenimenti avvenuti dal 133 al 121 a. C. iniziarono a venir fuori due partiti destinati a segnare la storia romana fino alla fine della repubblica: i populares e gli optimates. I populares, ovvero i popolari, sono i difensori delle cause del popolo e dei suoi interessi, saranno gli eredi dei Gracchi e sostenitori del principio democratico della sovranità popolare e della necessità di una riforma agraria; gli optimates, ovvero gli ottimati, ( i “buoni” nella terminologia fatta propria dall’oligarchia) difenderanno invece il potere politico esclusivo della nobiltà senatoria e saranno ostili nei confronti di qualsiasi ipotesi di redistribuzione delle terre.