Canti politici Divina Commedia
Il sesto canto di ogni cantica della Divina Commedia tratta un argomento politico. Precisamente il VI canto dell’Inferno è dedicato alla dimensione cittadina di Firenze, il VI canto del Purgatorio a quella nazionale dell’Italia e il VI canto del Paradiso alla dimensione universale dell’Impero.
Nel VI canto dell’Inferno vengono puniti i golosi. In vita si comportarono come bestie e adesso li troviamo sudici e vittime di un’incessante pioggia sporca che li costringe a rivoltarsi nel fango senza pace. Custode del terzo cerchio (dove appunto sono collocati i golosi) è Cerbero, cane mostruoso a tre teste – figura presa in prestito dalla cultura pagana – il quale dilania le carni dei golosi. Dante affronta qui tre temi molto importanti.
- Tema morale: il male causato dall’avarizia, dall’invidia e dalla superbia
- Tema religioso: le anime dannate dopo il Giudizio Universale si riapproprieranno del corpo, ma sentiranno comunque la sofferenza della propria pena. Dante, inoltre, individua in Bonifacio VIII la causa della corruzione della Chiesa, interessato più alla vita politica che a quella religiosa, colpevole di aver attuato una politica di espansione ai danni di Firenze
- Tema politico: Firenze è vittima della corruzione e delle lotte per il potere
Il personaggio principale che troviamo nel VI canto è Ciacco, un cittadino fiorentino che mostra le storture dovute alla lotta tra guelfi bianchi e neri.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco (vv. 52-54)
L’origine del nome è bivalente, può essere o sinonimo del sostantivo porco o diminutivo di Giacomo/Jacopo. Probabilmente Dante usò di proposito questo nome per alludere alla colpa del goloso.
Nel VI canto del Purgatorio troviamo Dante circondato da coloro che si pentirono all’ultimo dei propri peccati. La calca che si forma intorno a lui e Virgilio è dovuta alla richiesta che tutte queste anime fanno al poeta: chiedono di comunicare ai parenti di pregare per loro affinché la loro permanenza nel Purgatorio si accorci. Dante rimane confuso nel sentir questa richiesta e rivolgendosi a Virgilio gli chiede come mai lui nell’Eneide sostenesse che queste preghiere non avessero alcun valore per la redenzione. La risposta di Virgilio è chiara: la sua affermazione era riferita alle preghiere sbagliate, ovvero veniva pregato il Dio sbagliato e pertanto le preghiere risultavano nulle. Proseguendo nel cammino i due incontrano Sordello, poeta mantovano, il quale inizialmente si mostra reticente, successivamente rendendosi conto che a venirgli incontro è Virgilio, un suo concittadino, cambia atteggiamento e corre ad abbracciarlo. Seguirà un’invettiva contro l’Italia, in cui Dante lamenta la divisione in comuni rivali e la colpa dell’imperatore Alberto I d’Asburgo di non supervisionare adeguatamente questa situazione. E’ talmente adirato con lui che inveisce maledicendolo. A cosa è valso l’impegno di Giustiniano nel promulgare leggi per il bene dei cittadini quando ormai l’Italia non è più come era ai tempi delle province romane, ma è divenuta luogo di corruzione ? Colpevole anche la Chiesa che non si è dedicata esclusivamente all’aspetto spirituale.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello (vv. 76-78) Metafora!
Nel VI canto del Pradiso Dante incontra Giustiniano, colui che ha riformato le leggi dell’Impero romano, compilando il Corpus iuris civilis, togliendo il vano e il superfluo (v. 12 d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano). Giustiniano è collocato nel cielo di Mercurio, quello delle anime che operarono per la gloria in terra.
Giustiniano afferma che quando Costantino posò l’aquila (simbolo dell’Impero romano) su Costantinopoli, ovvero Bisanzio (l’attuale Istanbul), da allora passarono duecento anni finché anche lui divenne Cesare. E lo fa usando un chiasmo.
Cesare fui e son Iustinïano (v. 10)
Giustiniano si sentì ispirato da Dio per riformare le leggi, prima era monofista (Cristo ha una sola natura) poi fu convertito da papa Agapito (Cristo ha due nature, una umana e una spirituale). La descrizione operata da Giustiniano è ben definita: egli racconta la vita dell’Impero dagli albori. L’Impero ebbe inizio quando Pallante si sacrificò per permettere a Enea di trionfare. Passarono poi trecento anni quando Orazi (di Roma) e Curiazi (di Albalonga) combatterono. Poi ci fu il ratto delle sabine e la cacciata dei Torquati. Finita la monarchia abbiamo la Res publica romana, Roma si espande vincendo contro i galli e contro Pirro. I Deci e i Fabi vengono elogiate come famiglie importanti per la Repubblica. In seguito Roma si scontra con Cartagine sbaragliando l’esercito di Annibale. Seguono Pompeo e Giulio Cesare che preparò il mondo alla venuta di Cristo, conquistò la Francia, la Spagna, superò il Rubicone portando la guerra civile che lo condurrà in Egitto e in Mauritania per poi tornare in Italia. La sua morte fu vendicata da Ottaviano Augusto che uccise Cassio e Bruto, i quali patiscono all’Inferno (li troviamo nell’ultimo canto); istaurò una pace che fece chiudere il tempio di Giano (Dio che i romani pregavano prima di andare in guerra). Poi ci fu Tiberio (v. 86 terzo Cesare) e sotto il suo Impero nacque Gesù, morto crocifisso per liberarci dal peccato originale. Fu Tito (ma la critica storica ci dice Vespasiano) che punì gli ebrei, colpevoli della morte di Cristo, distruggendo Gerusalemme. Infine, Carlo Magno difese l’Impero dai longobardi e fondò il Sacro Romano Impero. Dopo questo excursus sulla storia dell’Impero, Dante scrive che sbagliano guelfi e ghibellini a lottare. I ghibellini lottano in nome dell’Impero e i guelfi vi si oppongono, appoggiando la monarchia francese e il re Carlo d’Angiò.
Una risposta
[…] Anche Dante ritiene meritevole l’Imperatore Giustiniano di tale opera e lo dimostra parlando di lui nel VI canto del Paradiso. […]