Perchè proprio i Promessi Sposi ci fanno studiare e non un altro romanzo?
Lo studio dei Promessi Sposi è fondamentale perché la forma del romanzo, in Italia, parte da questo libro. Tutti gli autori seguenti, sia che lo abbiano imitato sia che se ne siano volontariamente allontanati, lo hanno comunque considerato il punto di partenza. È’ un paradigma. Inoltre è un libro che unisce, anche senza che ne abbiano consapevolezza, migliaia di persone, proprio perché si legge da decenni. Molte idee, modi di dire, citazioni, etc, fanno riferimento a questo libro; leggerlo è come conoscere i nostri antenati, disconoscerlo equivale a essere orfani di una parte della nostra identità nazionale. Il libro dei Promessi Sposi è anche un punto di riferimento per interpretare alcuni aspetti della società antica e moderna: l’ipocrisia del potere, la corruzione di molti strati della società, l’ignoranza – generata da false credenze e superstizioni – che origina comportamenti del tutto irrazionali e violenti. Il tutto mostrato attraverso l’ironia manzoniana che smaschera ipocrisie e falsi miti. Ricordiamo che nell’opera possiamo trovare evidenti due intenti: la verità storica e l’impegno per l’Unità d’Italia. Ambientando la storia nel ‘600, quando il ducato di Milano venne conquistato dagli spagnoli, in realtà, vuole riferirsi al 1800, quando in buona parte d’ Italia dominavano gli austriaci. Il fine è quello di suscitare lo spirito di ribellione negli italiani.
Manzoni e la lingua
Nel ‘700 e nell’800 assistiamo all’espansione culturale della Francia e l’influsso del francese non è solo scritto, ma anche parlato. Manzoni e Goldoni usano il francese per le loro memorie. Il francese entra in tutti gli ambiti: cultura, economia, scienza, politica, stampa, burocrazia e vita quotidiana.
Nell’800 Manzoni cerca una lingua viva e vera. Nella prima edizione dei Promessi Sposi, Fermo e Lucia (1821), usa un misto di frasi lombarde, francesi, latine e toscane. Nel 1827 scrive una nuova versione in lingua toscano-milanese costruita per via libresca, questo perché Manzoni parla francese e lombardo, ma apprende il toscano sui libri. Nel 1840, con la terza edizione, la lingua viene ‘risciacquata in Arno’: adotta il modello del fiorentino parlato dei colti, intendendo dare dignità letteraria al fiorentino borghese parlato.
Gli arcaismi vengono sostituiti con parole dell’uso vivo e i regionalismi con i toscanismi. L’obiettivo di Manzoni è quello di dotare il nascente Stato unitario di una lingua comune che sia strumento di comunicazione.
Emilio Broglio, in qualità di Ministro della Pubblica Istruzione, è ricordato per aver istituito una commissione parlamentare la cui presidenza venne affidata ad Alessandro Manzoni, con l’incarico di occuparsi dell’annosa “questione della lingua”. La commissione produsse un testo, Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, in cui si concluse che l’unica lingua comune a livello nazionale poteva essere il fiorentino e che solo questa poteva assurgere a lingua della nuova Italia unita.