L’amurusanza recensione
Siamo in un piccolo borgo siciliano (tra Augusta e Melilli) che, dall’alto di una collina, domina il mare: una comunità di cinquemila anime che si conoscono tutte per nome. Su un lato della piazza sorge la tabaccheria, un luogo magico dove si possono trovare, oltre alle sigarette, anche dolciumi e spezie, governato con amore da Costanzo e da sua moglie Agata. Sull’altro lato si affaccia il municipio, amministrato con altrettanto amore (ma per il denaro) dal sindaco “Occhi Janchi” e dalla sua cricca di “anime nere”, invischiata in diversi affari sporchi.
Attorno a questi due poli brulica la vita del paese, un angolo di paradiso deturpato negli anni Cinquanta dalla costruzione di una grossa raffineria di petrolio.
Quando alla tabaccara muore il marito il mondo sembra crollarle addosso, ma non può fermarsi, deve emanciparsi, non rendere vani i sacrifici del marito e i suoi. Non le interessa un nuovo marito, non avrebbe lo spazio nel cuore da potergli dedicare. Le interessa lavorare e salvare il paese dalla malura. In una Sicilia in cui è l’uomo a comandare e la donna deve solamente ubbidire, riuscirà la protagonista a contrastare il sindaco corrotto e la mentalità bigotta?
«Parola d’ordine ci vuole,
mio signore,
per accedere alle stanze
della vita,
parola stramma
di desiderio e ardimento
che squaglia il gelo
e splende sparpaglio
di bellezza e luce.
La sapesse, Vossia,
quella parola?
La covasse da mill’anni
in petto?»
«Amurusanza»
fa lui senza esitazione.
E le porte si spalancano
e il sole ride
e la vita
canta.
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